Il 20 Agosto scorso sono stato a Cagliari, a vedere Dalla&De Gregori, il duo di Banana Republic trent'anni dopo. Occasione fin troppo ghiotta per lasciarsela scappare, era infatti parecchio tempo che non assistevo a un concerto.
La serata è stata molto calda, dal mare spiravano generose folate di vento africano, e nell'attesa - con mia sorella e mio cognato - abbiamo sbocconcellato qualche panino, tra il rumore di fondo dei generatori elettrici dei camioncini dei venditori ambulanti, e la musica di De Gregori, che appena visibile oltre i cancelli d'ingresso dell'anfiteatro, provava in solitaria da un angolo seminascosto nel palco, diffondendo nell'aria, a ripetizione, la strofa della canzone "Vai in Africa, Celestino!": "Pezzi di storia, pezzi di divisione/ Pezzi di Resistenza, pezzi di Nazione/Pezzi di Casa Savoia, pezzi di Borbone / Pezzi di corda, pezzi di sapone / Pezzi di bastone, pezzi di carota / Pezzi di motore contro pezzi di ruota / Pezzi di fame, pezzi di immigrazione / Pezzi di lacrime e pezzi di persone / Ognuno è figlio della sua sconfitta / Ognuno è libero col suo destino / Butta la chiave e vai in Africa, Celestino!" Lontano una nave da crociera attraccava con lentezza esasperante nel blu del porto di Cagliari, mentre qualche cornacchia saltava sulle gradinate ancora vuote dell'anfiteatro, in cerca di piccoli avanzi di cibo.
Lo spettacolo è stato coinvolgente ed emozionante. I due hanno tenuto la scena da attori consumati, integrandosi a meraviglia, mostrandosi in forma strepitosa e come una delle coppie più curiose e artisticamente riuscite della musica italiana. De Gregori altissimo, in abito e barba grigi e con un cappello rosso, molto fine e misurato nel portamento, più americano, nell'aspetto, che italiano. Dalla, al contrario, più italiano e plebeo, con spontanee capacità teatrali nella mimica del corpo. Entrambi più simili ai personaggi d'inizio Novecento descritti da alcune loro canzoni, ad esempio Titanic, che a sè stessi; in ogni caso veri artisti di strada, con identica capacità di ammaliare - sotto una luna veramente "gigante" e "metallo" - il pubblico e tenerlo incollato alla loro musica per circa due ore e mezza.
La prima parte del concerto è stata particolarmente intensa e poetica, ed è stata dominata dalla voce bellissima e un pò rugginosa di De Gregori, che ha riproposto, con la cura dell'antiquario e lucidati a puntino, numerosi suoi cavalli di battaglia: Titanic, La Storia, La valigia dell'attore, La leva calcistica della classe '68, Viva l'Italia, Santa Lucia, e canzoni più recenti, come Agnello di Dio. Tutte versioni per così dire "classiche", appena sfiorate dalla vena sperimentale con cui talvolta ama stupire e disorientare il pubblico più affezionato. Non sono mancati pregevoli duetti con Dalla, istrionico al sax e al clarinetto, anche se ho trovato particolarmente belle soprattutto La Storia, eseguita al pianoforte dal solo De Gregori, e incantevole, ma sempre singola, la versione di Santa Lucia - "la canzone che gl'invidio di più", racconta spesso Dalla. Difficile non notare come le canzoni di Gregori resistano al tempo come piramidi, e non perdano di contemporaneità; questo Calvino scappato dalle pagine della letteratura per occuparsi di canzone, ha scritto cose che riflettono il meglio della coscienza civile d'Italia, le cui vicende sono filtrate, con grande acume critico, in un percorso poetico narrativo e fiabesco dai codici melodici e delicatamente rock, mai banale.
Nella seconda parte il concerto si è fatto più di "entertainement", e Dalla seduto dietro al piano ha potuto liberare le valvole della propria voce, inframmezzato quà e là dalle morbide incursioni vocali di De Gregori e della sua armonica, per un repertorio decisamente più leggero rispetto a quello del cantautore romano, ma egualemente godibile. Com'è profondo il mare, 4 marzo '43, L'anno che verrà, Canzone, Balla Balla ballerino, ecc. hanno fatto da complemento alla parte iniziale molto applaudita e contribuito a scaldare ulteriormente il pubblico. Anche Dalla è scolpito nella coscienza collettiva degli italiani, nelle loro radio e nelle strade, sublime cantore di porti e piazze grandi, di città e disperati erotici stromp.
Lo spettacolo è andato avanti fino a mezzanotte inoltrata ed è stato concluso dai fuochi d'artifico degli ultimi brani, la Donna Cannone e Caruso - quest'ultima un pò rivisitata - che hanno suscitato sinceri applausi di ringraziamento da parte del pubblico dell'anfiteatro. Poco prima una versione, elettricissima, di Buonanotte Fiorellino, e subito dopo, per concludere, alcuni brani di bis.
Interessante anche la canzone Gran turismo. Scritta assieme di recente dai due artisti, riguarda il tema del viaggio, anzi i nostri viaggi postmoderni, spesso superficiali e frettolosi, dove "il mezzo giustifica il fine" e le persone più che scoprire "si fanno viaggiare"- definizione dalliana per spiegare la differenza tra passeggeri e viaggiatori. In effetti senza la curiosità di conoscere e andare in fondo alle cose, l'esperienza del viaggio si riduce a ridicolo passatempo sociale. Una bella canzone e un'indiscutibile verità sui tempi, il vero viaggio che ciascuno di noi dovrebbe intraprendere non riguarda tanto e solo lo spostamento in senso fisico, ma il déplacement interiore, ovvero la capacità di acquisire nuovi occhi, e ritornare da un luogo con qualcosa di davvero nuovo in tasca.
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